28 ottobre 2024

Lettera (2 parte)

 A questa “copertura” mediatica non potevano certo rispondere i palestinesi: alcuni “contenuti” in stati non loro (come la Giordania), altri divenuti profughi di precaria sopravvivenza, altri ancora rimasti minoranza priva di qualunque potere politico nel nuovo stato ebraico. Così, quasi per una reazione spontanea, l’opinione pubblica occidentale introiettò la convinzione, tipicamente razzista,  che il nuovo Stato ( non pochi cittadini del quale e molti sostenitori all’estero appartenevano – o erano collegati - all’intellighentzia occidentale), fosse un caposaldo della civiltà “bianca” nel Medio Oriente, di fronte a un nazionalismo arabo straccione e feudale.

Le guerre dei regimi arabi contro lo Stato ebraico rinforzarono questa supremazia mediatica: i farneticanti proclami del loro odio, la loro incapacità di promuovere l’idea di uno stato pluralista e laico anziché di due stati creati con   drammatici spostamenti della popolazione locale, rinsaldarono nell’opinione pubblica internazionale l’immagine di un piccolo Israele permanentemente minacciato da una enorme valanga di nemici e dunque costretto a un duro esercizio della forza. Ben pochi si accorsero, nel passare degli anni, che questa immagine era sempre meno autentica perché non teneva conto dei crescenti aiuti e garanzie prestati dagli Stati Uniti allo stato ebraico, tali da creare ormai una realtà inattaccabile dai suoi vicini: uno stato che possiede il quinto esercito della Terra per potenza di fuoco e un rilevante armamento nucleare Chi ha indicato questa evidente realtà, sostenendo che, ormai garantita la sicurezza di Israele, era giunto il momento di chiedergli un maggiore e sincero assenso a una pace che garantisse giustizia ai palestinesi, è stato sempre messo a tacere con l’accusa di antiebraismo: vorresti forse una nuova Shoah? Tre generazioni di israeliani si sono ormai succedute dalla fondazione del nuovo Stato, accade persino che i nonagenari scampati al genocidio lamentino che il “loro” governo lesini aiuti alla loro vecchiaia, la caratteristica di Israele come “stato-rifugio” per gli ebrei in diaspora è ormai una romantica illusione, ma l’accusa di antigiudaismo viene ancora rivolta a chi critica i governanti di Israele. Qualche volta l’accusa è di “antisemitismo”: i filo-israeliani meno colti non sanno neppure che anche i palestinesi sono semiti.

Le sconfitte arabe hanno consegnato a Israele, di fatto, l’intera area destinata, secondo gli illusori progetti dell’ONU, a uno stato palestinese. Questo avvenimento epocale ha stravolto gli stessi fondamenti ideali dello stato ebraico. Nella sua dichiarazione di Indipendenza stava scritto: “Lo Stato di Israele si  dedicherà allo sviluppo di questo paese per il bene di tutti i suoi cittadini; sarà  fondato  sui principi di libertà, giustizia e pace, e sarà guidato dalla visione dei profeti di Israele; garantirà pieni e eguali diritti, sociali e politici, a tutti i suoi  cittadini, indipendentemente dalle differenze  di religione, di razza o di sesso; tutelerà  la libertà di religione, di coscienza, di lingua, di istruzione e di cultura”. Di fatto, invece, Israele, quasi sospinta da un vento malvagio, si è trasformata in una potenza brutalmente coloniale che opprime con continue violazioni dei diritti umani un popolo in crescente disperazione. Centinaia di risoluzioni dell’ONU contro questi eccessi sono finiti nei cestini della carta straccia premurosamente forniti dagli Stati Uniti, grazie al loro potere di veto. Hanno vita durissima i pacifisti israeliani, coraggiosi, creativi, incessanti costruttori di ponti fra i due popoli che il cinismo dei governanti distrugge demolendo ogni speranza di pace. Nello stato ebraico sono presenti, distruttivamente, forze politiche che sognano di costringere gli arabi a un esodo definitivo dalla loro terra, altre, più numerose, che premono per la costruzione di un regime permanente di apartheid affidato all’esercito perché lo indurisca di quando in quando affinché i palestinesi “non creino problemi “, altre ancora disponibili alla creazione di uno stato arabo ma a pelle di leopardo: bantustan collegati fra loro da esili corridoi. Queste forze eversive si sono sempre schierate (esplicitamente o sotterraneamente) contro ogni piano di pace. Certamente, al riguardo, non mancano responsabilità palestinesi. Vergognosamente traditi dai paesi arabi, condizionati da una frammentazione della loro dirigenza politica, continuamente provocati dall’esercito israeliano, gli abitanti dei territori occupati hanno commesso anche loro profondi errori di valutazione e di azione.

Quarant’anni di dominio militare con l’uso di punizioni collettive (le case abbattute, i blocchi stradali che per giorni e giorni isolano villaggi e città, impedendo il transito persino alle autoambulanze), la diffusione dell’uso della tortura, l’imprigionamento di ragazzi, la chiusura delle scuole, la devastazione degli uliveti, l’erezione di un muro che taglia paesi e li separa dai campi, il sequestro di terre per i villaggi dei coloni armati, hanno avvelenato l’anima dei due popoli. Da un lato (quello palestinese) la ferocia di un terrorismo che per essere segno di disperazione non è meno criminale, oppure una rassegnazione che spinge all’inerzia, la corruzione di buona parte della dirigenza politica, un crescente fondamentalismo religioso. Dall’altro lato (quello israeliano) l’uso della paura e dei raid come strumento elettorale, una cultura violentemente razzista e nazionalista, la convinzione che gli arabi siano del tutto inaffidabili e persone senza dignità. I grandi scrittori di Israele (gli Yehoshua, i Grossman, gli Oz….) registrano con dolore questo scadimento etico, che si estende al trattamento dei cittadini arabo-israeliani. Spesso il comportamento delle truppe di occupazione è tanto crudele che quando, ai tempi della prima Intifada, Yitzchak Rabin suggerì ai soldati di non sparare contro i ragazzi palestinesi che lanciavano pietre ma di spaccare loro le braccia, egli fu considerato una “colomba”, un buono e persino un “molle”.

Gli psicologi israeliani denunziano l’insorgenza di nevrosi collettive. Vi sono segni di insensibilità crescente. Eccone uno, di oggi: “Piombo fuso” è un giocattolo donato ai bambini israeliani nella recente festa di Hanukkah. I generali hanno dato questo nome (Operazione Piombo fuso) ai piani dell’offensiva contro Gaza. I generali sanno bene che metà della popolazione di Gaza ha meno di 15 anni… E sanno che Gaza e la Striscia, con 2500 persone per chilometro quadrato, sono la più popolosa area della Terra. Bombardarla dal cielo e dal mare, come si sta facendo, o invaderla per combattere casa per casa significa mettere in atto un macello che ricorda certe imprese naziste.

Scrivo queste cose non per esecrare il popolo di Israele, al quale auguro invece di tutto cuore di diventare propulsore di pace e di benessere, ma perché sono convinto che molti non le sappiano, e che, invece, la diffusione della verità sia la strada necessaria alla giustizia. Ma interessa la verità ai mass-media italiani? Voglio raccontare un episodio al riguardo. Nel 1991 ero presidente del Comitato della Camera per i diritti umani. L’agenzia dell’ONU per i profughi mi invitò a portare una delegazione di parlamentari in visita ai campi in cui si accalcavano decine di migliaia di palestinesi. Fu un’esperienza drammatica: vedemmo un popolo che ci sembrò allo stremo, angariato da anni in mille modi, portato al furore da una congerie di leggi, decreti, bandi militari che ne impedivano ogni crescita e libertà.

2 comments:

Ирина Полещенко ha detto...

Ora in molti paesi c'è un atteggiamento negativo nei confronti di Israele. Vedo come gli abitanti di questo paese si rallegrano quando muoiono civili nella Striscia di Gaza, in Libano, in Iran, in Siria, nello Yemen...

Farfalla Legger@ ha detto...

"Ma interessa la verità ai mass-media italiani?"
Questa domanda dovrebbe far riflettere anzi io aggiungerei un'altra domanda: "agli italiani interessa sapere la verità?"

Posta un commento