27 ottobre 2024

Lettera (1 parte)

Trattai già di Ettore Masina in un altro post ( chi è interessato a leggerlo, può andare nel widget Etichette e cliccare Ettore Masina) 
Oggi riprendo a parlarne pubblicando una lettera (divisa in tre parti, essendo lunghetta) che tratta di Gaza, vista la deprecabile attualità. 

www.ildialogo.org Gli aquiloni di Gaza, di Ettore Masina

LETTERA 138 - gennaio 2009
Gli aquiloni di Gaza

di Ettore Masina

Vi sono momenti in cui la storia e il vangelo si incrociano e pare si confermino a vicenda. Il 28 dicembre di ogni anno la Chiesa rilegge la pagina del Nuovo Testamento in cui si racconta della strage di bambini di Betlemme ordinata da Erode. La Chiesa definisce quei piccoli con il nome di Santi Martiri Innocenti. In realtà si tratta di un racconto midrashico, cioè simbolico: nessun testo storico registra un avvenimento del genere nella Palestina di quel tempo. Adesso questo avvenimento e il nome che lo descrive sono diventati realtà: proprio a partire dagli ultimi giorni del dicembre scorso e proprio in Palestina, decine e decine di bambini vengono uccisi, non da sgherri assatanati ma da un esercito fra i più potenti della Terra con generali, bandiere, ferrea disciplina, minuziosi piani di battaglia.
Perché Santi e Martiri quei bambini di Betlemme coetanei del Signore? La liturgia risponde con una formula che a me pare stupenda: martiri e dunque santi perché non loquendo sed moriendo confessi sunt, perché non con parole ma con la morte hanno testimoniato il Cristo. Così, una volta di più, la riflessione evangelica coglie il nesso intimo fra il Salvatore e i più poveri dei poveri: il loro destino, la loro storia ignorata dai libri, persino la storia effimera (di pochi giorni, mesi o anni) dei piccini uccisi dalla violenza degli adulti sono storia sacra, inscritta nel mistero della croce. Qualcuno mi ha detto tempo fa che nelle icone ortodosse dell’Epifania la culla di Gesù bambino ha la forma di una bara. (Ma le notizie che arrivano da Gaza mentre scrivo, il 6 gennaio, dicono che la popolazione non riesce più a seppellire i suoi morti).
Non con le parole ma con la morte testimoniano la realtà tutti i piccoli schiantati dalla nostra follìa o dalla nostra inerzia. Siano i bambini violati dai “turisti del sesso” o quelli schiacciati dalle fatiche di certi lavori “minorili”, le creaturine vietnamite che nascono deformi a causa dei defolianti disseminati dagli americani durante la guerra; o siano i ragazzini-soldati di certe aree africane o quelli uccisi, mutilati o psichicamente straziati dai conflitti, come i piccoli afghani e congolesi e sudanesi, quelli israeliani assassinati dai terroristi o, adesso, quelli massacrati dall’esercito israeliano, le vittime infantili del nostro tempo testimoniano che il male distende le sue ali di tenebra in tutte le epoche e i luoghi, e può insediarsi nel cuore di ogni uomo. I bambini violati e uccisi accompagnano con le loro ombre il nostro cammino e vanificano con i loro lamenti o i loro insanguinati silenzi la nostra pretesa di essere autori di una civiltà sempre più “umana”: giusta, cioè, libera, generosa. E tenera.
Credo fermamente che nessuno di noi possa “chiamarsi fuori” da queste realtà planetarie, che legami più o meno visibili ci saldino ai mali del nostro tempo e che non sia possibile uscire dalla nostra inevitabile condizione di carnefici (o, almeno, di favoreggiatori di carnefici) se non cercando di cogliere in tutta la sua valenza le nostre responsabilità. Credo, cioè, che innanzi tutto il nostro dovere non sia soltanto di piangere le piccole vittime ma di conoscere le condizioni storiche che le hanno crocifisse, per vedere se non sia possibile da parte nostra qualche intervento per un mutamento della realtà. Senza questa ricerca di informazioni è come se ci rifiutassimo di vedere il volto di quei bambini, di conoscerne il nome, di ascoltarne il lamento. Questa mancanza di informazioni emerge più che mai, oggi, davanti a Gaza. Mi sembra terribile: su un dramma planetario che da più di sessant’anni insanguina una Terra santa a tre religioni monoteiste, dunque a miliardi di persone, la gente ha idee confuse o addirittura non ne ha.
Gaza, la strage di tanti bambini (e dei loro genitori), la nostra pretesa di neutralità o addirittura la nostra compassione pesata al bilancino per l’una e l’altra parte in lotta, sono infatti una tragedia alimentata dalla disinformazione o dalla manipolazione dell’informazione. Se i palestinesi, i loro diritti violati, la libertà che gli viene negata sono così spesso ignorati da noi, cioè condannati, da mezzo secolo, all’insignificanza, è perché l’opinione pubblica internazionale è stata fortemente condizionata dalla propaganda israeliana. È ovviamente impossibile esaminare dettagliatamente come e perché, ma chi, come me, segue con attenzione, da cinquant’anni la vicenda medio-orientale sa bene che è un discorso necessario per uscire da una situazione di profonda ingiustizia: e che si possono porre, al riguardo, alcune considerazioni   incontrovertibili. Bisogna cominciare da lontano: dopo la prima guerra mondiale, che aveva disgregato l’impero ottomano, le cosiddette Grandi Potenze ridisegnarono a loro piacimento, con sprezzante cinismo, la carta geopolitica dell’area. Con tutta la violenza dell’ideologia colonialista, considerarono primitivi e indegni di piena libertà i popoli arabi: imposero loro monarchi feudali o regimi corrotti, servili nei confronti di Londra e di Parigi. Fu in quel tempo che si cominciò a progettare, su pressione del movimento sionista, dei suoi amici altolocati e della vergogna dei pogrom europei, uno stato ebraico da erigere nelle antiche terre dei Patriarchi e dei Profeti. Subito dopo la seconda guerra mondiale, il progetto fu tradotto in realtà. Fu la realizzazione di un sogno per gli ebrei, ma una terribile sciagura per gli arabi che abitavano da secoli la Palestina. Su di loro si abbatté come un maglio la cattiva coscienza dell’Europa e degli Stati Uniti per non avere efficacemente impedito il genocidio ebraico: il nuovo stato fu insediato non già in una regione semi-deserta (“Una terra senza popolo per un popolo senza terra”) come sosteneva la propaganda sionista, ma in una zona popolosa, in cui esistevano condizioni di vita superiori a quelle di certi “cantoni neri” europei. Grandi masse di arabi furono costrette all’esodo dalle terre in cui erano nate, erano nati i loro padri e i padri dei padri dei padri. Per affrettare la fondazione del nuovo Israele, alla crescente opposizione palestinese si contrappose un feroce terrorismo sionista: la strage della popolazione del villaggio di Deir Yazzin (trucidati 250 uomini, donne, vecchi e bambini), la distruzione di un’ala dell’hotel King David, a Gerusalemme (91 morti), l’assassinio del mediatore delle Nazioni Unite, Folke Bernadotte… Non pochi degli autori di questi atti di terrorismo entrarono poi a far parte dei governi del nuovo Stato. Che io ricordi, non vi furono efficaci censure morali da parte dei politici o dei mass-media occidentali. Sembrò allora a molti (anche a me, debbo dire) che questi “partigiani” riscattassero con l’ardimento di molte loro imprese l’inerme rassegnazione con la quale milioni di ebrei europei erano andati al macello nei lager. E sembrò a moltissimi (e sembra ancora) che l’incomparabile gravità della Shoah concedesse ai superstiti una specie di salvacondotto che permettesse loro qualunque crudeltà. Questa legittimazione alla violenza venne sostenuta con enorme efficacia dai mass-media vicini alla (o posseduti dalla) ricca diaspora ebraica negli Stati Uniti: ricordo ancora con quanta emozione vidi film come “Exodus” di Preminger, lessi romanzi come “Ladri nella notte” di Koestler. Anche a me, come a moltissimi cittadini dell’Occidente, la fondazione dello stato di Israele, la guerra del 1948 apparvero l’ultima grande epopea del XX secolo.
(parte 1) 

2 comments:

Ирина Полещенко ha detto...

Gli Stati Uniti combattono con le mani degli israeliani in Medio Oriente e in Ucraina con le mani degli ucraini.
Se Israele e Ucraina non fossero state fornite di armi, la guerra sarebbe finita molto tempo fa.

Farfalla Legger@ ha detto...

Gli Stati Uniti sono dappertutto... E l'Italia segue a quanto leggo

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